E in questi giorni, ogni volta che prendo in braccio Egle o Nicolò, e sposto il peso da una parte all’altra, riesco a percepire nettamente lo sfrigolio dei dischi vertebrali che si avvicinano pericolosamente al punto di rottura.
È un rumore strano, riesce a essere estremamente angosciante, senza mai smettere di essere affascinante. Una sorta di schiocco seguito da laceranti scricchioliì che culminano in un oscuro, inspiegabile, inquietante crepitìo.
In questi casi, essere diventato stoico aiuta parecchio. Prima avrei pensato: “Ok, è finita, resterò paralizzato a vita”, adesso penso: “Toh, guarda, sono ancora in grado di muovere tutti e quattro gli arti, ma pensa te che bizzarra botta di culo”.
Nei momenti migliori riesco persino a saltellare, una cosa a suo modo incredibile per uno che oramai si trascina zoppicando oscenamente, tra lancinanti dolori e terribili deprivazioni.