Genitori all’asilo

I PREVENTORI
COSA DICONO: Noi? Noi teniamo all’alimentazione dei nostri bambini. È fondamentale, fon-da-men-ta-le. Il nostro motto è “Prevenire, non curare”.
COSA DANNO AI LORO BAMBINI PER MERENDA: Nastrine della Decò, intervallate da biscotti di tipo gocciola tarocchi e di marca scognita. Meglio se avariati.

GLI INTEGRALISTI
COSA DICONO: Noi? Noi teniamo all’alimentazione dei nostri bambini. Abbiamo contattato un nutrizionista per evitare stupidi sbagli di cui poi potremmo pagare amare conseguenze in futuro. L’alimentazione dei NOSTRI figli è una cosa seria.
COSA DANNO AI LORO BAMBINI PER MERENDA: Nastrine della Decò integrali, intervallate da biscotti di tipo gocciola tarocchi e di marca scognita, però integrali. Meglio se avariati.

I CRACCO, I CANAVACCIUOLO
COSA DICONO: Noi? Noi odiamo quelli che danno merendine confezionate ai loro figli, la troviamo una cosa inconcepibile. È solo pigrizia. Pigrizia unita a egoismo. Cosa ci vuole a preparare una ciambella o una crostata al forno? Dai su non scherziamo.
COSA DANNO AI LORO BAMBINI PER MERENDA: Fette di ciambelle o crostate comprate in un Decò Gourmet (come i Decò normali, ma per una clientela più selezionata, meno proletaria).
A loro discolpa, va detto che c’è una linea intera di dolci prodotti apposta per sembrare fatti in casa. Con un aggiunta di prezzo non troppo eccessiva, puoi anche richiedere le versioni con i difetti di cottura (fondo bruciacchiato, interno un po’ crudo, zucchero a velo cristallizzato).

GLI STRONZI
COSA DICONO: Noi? Noi odiamo quelli che danno merendine confezionate ai loro figli, la troviamo una cosa di-sgu-sto-sa. Se la sera non trovi dieci minuti per preparare qualcosa ai tuoi bambini, non meriti di essere genitore. Scusate la franchezza, ma noi la pensiamo così.
COSA DANNO AI LORO BAMBINI PER MERENDA: Fette di ciambelle fatte realmente in casa, frutta, ortaggi di stagione, pancake di grano saraceno, feta, tutto rigorosamente preparato dalla baby sitter, a notte fonda, prima di tornare a casa. La spesa per le materie prime è ovviamente detratta dal suo stipendio. Non di rado, il cestino della merenda presenta tracce di saliva, unita a piccole dosi di stricnina.

GLI INTERNAZIONALISTI
COSA DICONO: Noi? Noi pensiamo che la merenda debba anche essere un momento inclusivo, d’integrazione, di scoperta dei gusti delle altre culture, delle altre civiltà.
COSA DANNO AI LORO BAMBINI PER MERENDA: Sushi. Noodles. Pane Carasau. In generale gli avanzi della cena della sera prima.
Naturalmente tutto cibo proveniente da delivery.

GLI UOMINI SOLI
COSA DICONO: Noi? Io. Da quando mia moglie mi ha lasciato, mi sono scoperto una persona nuova. Sono cresciuto, ho messo meglio a fuoco le priorità, ho finalmente intrapreso un percorso intimo che mi condurrà a una nuova maturità.
COSA DANNO AI LORO BAMBINI PER MERENDA: tranci di pizza, ovvero gli unici avanzi della sera prima.

GLI SBADATI
COSA DICONO: Ah, giusto, la merenda. Dovevamo preparare la merenda. No, ma certo. La merenda. Sì, ok, la merenda. La merenda. La Me-Ren-Da.
COSA DANNO AI LORO BAMBINI PER MERENDA: un beneamato cazzo. I loro figli sono generalmente spinti verso il furto o la prostituzione simbolica.

GLI OSSESSIVO-COMPULSIVI
COSA DICONO: Non c’è niente di meglio di un buon panino con la mortadella.
COSA DANNO AI LORO BAMBINI PER MERENDA: un buon panino con la mortadella. Tutti i giorni. Tutto l’anno. Tutti gli anni.

I CRUDISTI
COSA DICONO: Noi? Per noi il cibo è un’occasione di trasmissione di pratiche e riti innovativi, ci consente di portare avanti un discorso pedagogico radicale.
COSA DANNO AI LORO BAMBINI PER MERENDA: Nastrine del Mulino Bianco. Patatine.

I FORTUNATI
COSA DICONO: Noi? Noi non ci arriviamo. Ci pensano i miei suoceri. Sono loro ad accompagnare i pupi a scuola e a preparare loro la merenda.
COSA DANNO AI LORO BAMBINI PER MERENDA: ricchi piatti di pasta al forno, porzioni generose di melanzane alla parmigiana, cotolette fritte, cotolette al forno, patatine fritte, fragole, panna, ciambellone di ricotta. Il lunedì.

Genitori in chat

La settimana scorsa il padre di una compagnetta di classe di Nicolò è risultato positivo al covid. Positivo e sintomatico. La famiglia è entrata subito in quarantena e, dunque, sotto il controllo/dominio temporarle dell’USCA che, naturalmente, non ha ritenuto necessario tamponare la figlia se non dopo dieci giorni, lasso di tempo all’interno del quale se ci fosse stato un cluster in classe avrebbe già mietuto decine e decine di vittime.
Dentro la chat comune, ci siamo divisi subito in due fazioni: quelli che lottavano affinché tutti i bambini facessero un tampone e quelli che lottavano affinché nessuno lo facesse.
Io facevo parte dei primi (i tamponisti), ma hanno prevalso i secondi (gli anti-tamponisti). Pazienza.
In compenso, ho avuto tutto il tempo di studiare i ruoli che la situazione ha generato.
Pian piano li sto classificando, avvalendomi anche delle preziose esperienze di tanti miei amici che hanno vissuto drammi simili.
Ecco un primo abbozzo di tassonomia. Va migliorato, eppure secondo me contiene già in nuce una buona rappresentanza delle posizioni in campo.
Per ognuna delle figure, ho aggiunto anche una breve descrizione.
L’uso del maschile, in questo caso, dipende dal soggetto – “il genitore” – non va interpretato come un riferimento ai padri, ha funzione estensiva.

GENITORI IN CHAT

IL NOVAX ESIBITO
Non solo il covid non esiste, ma fa parte di un più ampio complotto volto a piegare il mondo al volere di poteri sempre nuovi e inquietanti, tutti invariabilmente “forti”. Solitamente viene subito isolato e reso innocuo. Reagisce covando un rancore tanto iniquo quanto duraturo.

IL NOVAX NASCOSTO
Apparentemente razionale, viene allo scoperto ogni volta che qualcuno propone un rimedio che non sia squisitamente omeopatico. Diffida di qualunque principio attivo. Ama riportare casi di atroci malformazioni in seguito all’ingerimento di farmaci innocui, seminando il panico tra le fila degli indecisi. Raggiunto il suo scopo, torna ad ascoltare musica ambient steso nudo sul parquet di casa.

LO STRATEGA
Non ha alcuna intenzione di fare il tampone, il contagio è un problema degli altri, non suo. Tuttavia non lo ammette chiaramente. Preferisce rintanarsi dietro il più classico degli escamotage: “O lo facciamo tutti o non lo fa nessuno!”, confidando nel fatto che ci sia anche un solo genitore che si opponga al tampone senza se e senza ma. Solitamente ci azzecca. A volte, però, per una strana convergenza dei veti incrociati e mazzette generosamente dilapidate da parte di finanziatori occulti, capita che tutti vogliano fare il tampone. In quel caso, abbandona la chat e si lamenta con la maestra di essere vittima di un complotto.

IL DADAISTA
I suoi interventi sono tutti incomprensibili. Tutti.
Inutile provare a interpretarli, banalmente non vogliono dire letteralmente un cazzo.
Forse è un goliarda, forse un ex tossico, forse un semplice malato di mente. È difficile stabilirlo.
Diventa presto oggetto di ilarità, i primi mesi dell’anno il gruppo fa di tutto per bullizzarlo. Col tempo, ci si assuefa a quel suo atteggiamento, non bada più all’irrazionalità della situazione. Sul finire del secondo quadrimestre molti cominciano a dargli ragione.

IL RASSEGNATO
Millanta di aver già eseguito decine e decine di tamponi, prevede che durante l’anno ne dovrà eseguire altrettanti, ragion per cui non ha intenzione di fare più nulla. Preferisce lasciarsi morire. Dorme rinchiuso dentro una bara per evitare fastidi ai famigliari. Quando sarà il momento, basterà sigillare il coperchio e trascinarlo verso la buca che ha già scavato in giardino, vicino all’olmo di famiglia.

L’ASINTOMATICO
Spiega a tutti che non avendo alcun sintomo, suo figlio non necessita di alcun tampone. Invita, però, tutti gli altri a eseguirne uno ai loro figli. Secondo lui è il modo migliore per evitare tragedie.

IL MASANIELLO
Nessuno, nessuno, nessuno può obbligarlo a fare qualcosa che non vuole.
Il suo discorso è semplice: se lui concede agli altri la libertà di fare il tampone, pretende dagli altri lo stesso trattamento, la stessa accondiscendenza. È una questione di principio. Si riprende mentre brucia una catasta di mascherine nel balcone di casa per sottolineare il concetto. Finisce presto dietro le sbarre.

IL BURIONI
La chat della classe è la sua unica occasione di rivalsa. Parla di analisi di trend, cariche virali, annales di medicina comparata. Tutti credono che sia un virologo o quanto meno un ricercatore. In realtà, è un geometra disoccupato che vive sulle spalle della moglie.

IL BENALTRISTA
Il covid è un tema importante, va bene, d’accordo, ma che dire della mensa? Quando partirà? Cosa serviranno ai nostri figli? A quale ditta è andato l’appalto? E il giardino? Il giardino chi lo cura? Possibile che a nessuno importi del corridoio?

L’INDECISO
Posta un messaggio. Lo elimina. Posta un altro messaggio. Elimina anche quello. Ne posta un terzo dopo un po’. Elimina anche quello. Alla fine scrive soltanto un laconico: “ok”.

L’INFILTRATO
Si è fatto aggiungere con l’inganno nella confusione tipica dell’inizio di un nuovo anno. I suoi figli frequentano la classe accanto. Passa il suo tempo acquattato nell’ombra. Ascolta.

IL FRICCHETTONE
Non capisce perché ci si accalori così tanto. Non sarebbe meglio lasciar perdere uno strumento divisivo come quello delle chat e incontrarsi tutti quanti di persona, magari in un bel parco o ancora meglio in spiaggia? Si potrebbe salutare il sole che nasce tutti assieme e poi finalmente lasciare che siano i corpi, e non più le menti, ad esprimersi.
Ama concludere i suoi interventi con un bel “namastè, amici, namastè”.

IL MARPIONE
Sbricia le foto del profilo, dopodiché da ragione unicamente a coloro che sembrerebbero essere interessati a delle brevi sessioni di sesso con lui. Coglie ogni occasione per fare riferimento a meloni e banane.

IL BUONTEMPONE
Fuori il mondo vecchio muore, ma lui sembra non curarsene. A lui importa solo postare ogni giorno un nuovo meme. Ogni santo giorno un nuovo maledetto meme. La sua collezione è praticamente sconfinata, la sua abnegazione totale. Inutile bannarlo, continuerà a inviare meme in pvt, su qualunque social riesca a intercettare. La polizia postale gli fa un baffo.

IL GRIGIO BUROCRATE
A lui il dibattito interessa poco. Ciò che conta è che ogni posizione sia rappresentata nel modo corretto. Su ogni questione, compila meticolosamente l’elenco delle opzioni disponibili, includendo anche quelle che nessuno vuole supportare, perché tutto, anche la decisione sul colore dello spazzolone del cesso, deve essere ratificato nel modo migliore.
Viene bannato dopo pochi giorni per effetto di un voto popolare scomposto e, soprattutto, occulto.

LA BOOOOOMBA
Cova rabbia in silenzio per giorni e giorni finché un pomeriggio, di botto, esplode, creando il vuoto pneumatico dentro la chat.
Ha il pregio impagabile di risolvere in maniera impeccabile qualunque controversia. Va da sé che è il mio preferito

Spritz

Sabato, in cartolibreria, in fila prima di me c’erano due persone, un vecchio e un giovane.

Il vecchio era scandalizzato. «Com’è possibile», chiedeva alla commessa avendo cura di farsi sentire da tutti gli astanti, «che le scuole siano ancora aperte? Non si rendono conto che così ci condannano tutti a morte?» La commessa lo guardava placida. «Fosse per me, chuderei tutti i giovani a casa, un bel lockdown mirato, esteso soltanto a chi ha meno di trent’anni, in modo da preservare i soggetti più fragili. È profondamente ingiusto che IO devo mettere a repentaglio la MIA vita, soltanto per consentire a quattro ragazzotti di bere il loro spritz».
È scomparso poco dopo, trascinandosi dietro una busta piena di quadernoni per i nipoti.

«Io sono dell’avviso esattamente opposto», ha detto il giovane, una volta arrivato al bancone, a voce altrettanto alta. «Le città sono piene di vecchiacci senza mascherine che affollano gli autobus, le strade, i negozi, i pub. Sa quanti ne ho visti seduti ai tavoli a bere spritz? Vogliono preservarsi? Che se ne stiano chiusi a casa. Lo Stato dovrebbe fare un bel lockdown generazionale. Hai più di sessant’anni? Sei un soggetto fragile? RESTA A CASA, PRESERVATI! E non rompere le scatole al resto del mondo». In realtà voleva dire “palle”, ma sul più bello ha virato su “scatole”.
Ho apprezzato il suo controllo del linguaggio, anche se sono certo che la commessa lo avrebbe fissato con quel suo modo placido di stare al mondo comunque.

Quando anche il giovane è scomparso, trascinandosi dietro una busta piena di testi universitari fotocopiati in nero, è arrivato il mio turno. Ho comprato decine di colori a matita, temperini e fogli di cartoncino di diversi colori.
Avevo anch’io voglia di dire la mia su lockdown, ma mi era rimasto poco con cui prendermela – i malati terminali, i dializzati, i mancini – ho preferito lasciare perdere. Sono rimasto in silenzio, a vedere il conto lievitare senza controllo.
La commessa mi ha fissato un po’ stupita, poi è tornata al suo solito sguardo placido.

Tornando a casa, ho visto nuovamente il vecchio e il giovane. Erano seduti a un tavolo. Sorseggiavano spritz con le mascherine attaccate al gomito. Discutevano amabilmente di qualcosa.
Mi sono tolto la mascherina, l’ho appesa al gomito e mi sono unito alla compagnia. Mi hanno spiegato che fosse per loro, avrebbero messo in quarantena i froci, SOPRATTUTTO i froci.
«Quelli lì hanno portato l’HIV, vuoi che non portino ANCHE il covid?»
Li ho guardati sfoderando il mio sguardo placido delle grandi occasioni e ho ordinato un terzo spritz.

Fotine

Postano fotine degli sbarchi sui loro profili, mentre presumibilmente si dimenano in discoteca al ritmo della Ferragni e Baby Key.
Sotto quelle fotine, scrivono dei post dentro i quali tentano di spiegare che la seconda ondata del covid è colpa dei migranti.
Tra un punto esclamativo e l’altro, consigliano caldamente al governo di sparare contro i barconi.
Poco dopo, nei commenti danno addosso a chiunque provi a farli ragionare.
Quando anche l’ultimo commento è stato sommerso di stronzate, suppongo, ordinano un Moscow Mule e brindano a Salvini o alla Meloni.
Ecco, loro mettono a dura prova il mio stoicismo.
Pure a Ferragosto.
Soprattutto a Ferragosto.

17 luglio

1.

A volte penso che dovrei liberarmi di tutti i libri che possiedo per fare spazio a quelli che verranno. Dopo tutto è raro che ne rilegga qualcuno, occupano soltanto spazio. Prima o poi cominceranno a invadere il pavimento, lo so, lo sento. E da lì alla segnalazione ai Servizi Sociali, il passo è breve.

2.

Forse dovrei costruire una piccola biblioteca all’aperto in fondo alla via in cui abito e metterne là un paio alla settimana, sarebbe sufficiente per svuotare la mia libreria poco a poco, in modo da non soffrire troppo.

3.

La parte logistica non dovrebbe essere un problema. Basta comprare delle Billy all’ikea e montarle (in caso non si riesca proprio a trovare delle librerie abbandonate vicino a un cassonetto, intendo).
Per la pioggia, basterebbero dei teli di plastica trasparente o una piccola tettoia. Nulla di troppo complicato, due assi di legno verticali piantate nel terreno, una lastra di metallo orizzontale imbullonata sopra.

4.

C’è un unico problema: La gente è crudele.
Sospetto che dopo qualche tempo anche gli altri abitanti del quartiere seguano il mio esempio: anziché prelevare soltanto (come fare qualunque essere dotato di razionalità), potrebbero cominciare a riempire la biblioteca con i loro libri.
Ciò renderebbe vano ogni mio sforzo.

5.

Se c’è qualcosa, infatti, a cui non so proprio resistere sono i libri usati, o meglio: i libri maltratti, quelli pieni di pieghe, di sottolineature, di segnalibri inventati, di segni del passaggio di altri lettori.
Presto, insomma, tornerei a riempire gli scaffali della mia libreria con i libri in fuga dalle librerie dei miei vicini di casa e non credo che Vale approverebbe. A tutto c’è un limite.

6.

Ma sì, meglio lasciar perdere. Sono troppo pigro per decidere scientemente di avere a che fare anche con tutto questo. Meglio rimanere un accumulatore seriale.
Spero soltanto di non ritrovare mai sull’uscio di casa una troupe di Sepolti vivi pronta a riprendere tutto in maniera impietosa. Non sopporterei le interviste a Egle e Nicolò adolescenti.
«Papà? Papà ha sempre riempito la casa di libri. La sua è una malattia»
«A me, in fondo, fa pena. Chissà quanto ha sofferto»
«Io non provo pena, solo pietà»

12 luglio

Bisogna ringiovanire la classe insegnante: ce lo ripetiamo spesso, molti lo considerano un imperativo categorico.
Con insegnanti più giovani, la scuola di sicuro diventerà un luogo migliore, più aperto, più inclusivo, più vicino alla società reale.
Non c’è dubbio che l’umanità ne trarrebbe immensi benefici.

Ma come fare a svecchiare una classe insegnante composta per lo più di sessantenni?
Confidare unicamente nel potere regolatorio dei pensionamenti è una speranza vana.
L’età pensionabile, si sa, è come l’orizzonte: ad ogni passo, si allontana di un passo. Presto con ogni probabilità diventerà facoltativa. Quando ciò accadrà, ci sarà gente che continuerà a insegnare fino a 80 anni e oltre, poco ma sicuro.

No, il pensionamento non è una strategia perseguibile, inutile illudersi.
Non resta che affidarsi all’unico altro metodo rimasto: la morte.

Non c’è progresso, senza decesso: Le proposte di oggi vertono tutte su questa ineludibile verità.

PROPOSTE PER LA SCUOLA DEL DOMANI
(S1 E2 P.5-7)

[Proposta 5: classi più numerose ma solo per i docenti più anziani]

Purtroppo ci siamo lasciati scappare il treno della pandemia. Avevamo a disposizione un male con un indice di contagio di tutto rispetto, particolarmente accanito contro anziani e immuno-depressi, e non abbiamo avuto la prontezza di spirito di usarlo nel modo giusto.
Poco male. Mai piangere sul latte versato.
Virologi ed epistemologi, solitamente in contrasto su tutto, concordano su un unico dato: presto arriveranno altre e più temibili forme virali.
Quando ciò accadrà, le classi numerose saranno un ottima risorsa per aiutare la natura a fare il suo corso.
Basterà veicolare il contagio seguendo una scaletta rigorosa: a) affidare classi di 40 o 50 ragazzi a colleghi prossimi alla pensione, con un occhio di riguardo ai portatori di malattie pregresse; b) obbligarli a un’intimità eccessiva con gli starnuti, le tossi, il sudore dei discenti; c) istruire i medici di base affinché rispondano: «È solo una febbre passeggera» in riferimento a qualunque sintomatologia; d) affidare a Bertolaso il coordinamento delle unità di pronto soccorso.
In pochi mesi si sbloccheranno decine di migliaia di posizioni da mettere subito a concorso.

[Proposta 6: incentivare l’uso della violenza, specie laddove, per effetto di un retaggio culturale antiquato, essa è ingiustamente stigmatizzata]

In alcune scuole, alunni e famiglie hanno già iniziato a picchiare gli insegnanti ogni volta che l’hanno ritenuto necessario. È un buon punto di partenza – nessuno può o vuole negarlo – un buon punto di partenza che va però valorizzato in maniera organizzato. Non può essere demandato a forme rozze seppur genuine di auto-organizzazione, va disciplinato nei modi e nelle forme più opportune.
Le botte, le umiliazioni, i pestaggi, vanno indirizzati verso sane politiche di selezione naturale. Non vanno sanzionati tutti i docenti in maniera indiscriminata, ma solo i docenti anziani, e con cadenza quanto meno settimanale.
Se una scuola non ha le risorse adeguate per far fronte all’immenso carico di lavoro che ciò comporta, bisogna prevedere percorsi di responsabilizzazione in grado di coinvolgere anche i docenti più giovani. Se opportunamente formati, potranno entrare a far parte degli squadroni della morte coordinati dal Dirigente Scolastico e dai suoi vicari. In alcuni casi potrebbero mostrarsi incredibilmente solerti.

[Proposta 7: rendere l’omicidio legale solo per qualche ora, durante la giornata della creatività studentesca]

In molte istituzioni scolastiche, i docenti più anziani potrebbero dimostrarsi
inaspettatamente coriacei. È auspicabile allora pensare a dei momenti collettivi di risoluzione dei casi più complicati. La giornata della creatività studentesca è uno di questi. Cosa c’è, infatti, di più creativo dell’omicidio di un docente?
Il docenticidio mette a nudo l’animo dello studente nel suo rapporto più intimo con il proprio percorso formativo.
Se occorre sarà possibile invitare anche mercenari provenienti da altre scuole del distretto.
Gli eventuali straordinari verranno pagati con una voce apposita dei fondi d’istituto, così come i costi di messa in sicurezza delle fosse comuni.
Se le scuole non dispongono di palestre o cortili all’aperto, tali fosse potranno essere allestite direttamente in aula docenti. In questo caso, è sempre preferibile evitare teche o catacombe: gli animi sensibili potrebbero esserne turbati.

(Continua)


(il primo episodio è rinvenibile qui: https://seicose.wordpress.com/2020/07/11/11-luglio/)

11 luglio

Non è ancora chiaro che forma avrà la scuola italiana post-pandemia.
Le voci si rincorrono intermittenti. Le ipotesi si affastellano l’una sull’altra. Ogni giorno c’è una fuga di notizie ufficiosa smentita poco dopo da un’intervista ufficiale. Il caos, insomma, sembra regnare sovrano.
Mai come oggi serve il contributo di tutti per uscire da questa spirale potenzialmente letale.

Per tale motivo, lo scrivente ha attivato all’interno del suo quotidiano spazio sulle SeiCose, una nuova rubrica: PROPOSTE PER LA SCUOLA DEL DOMANI all’interno del quale darà libero sfogo alla sua pars construens, confidando nel fatto che il suo sforzo sia raccolto nelle sedi deputate a costruire il futuro del nostro glorioso sistema d’istruzione.
Cominciamo, dunque, senza por altro tempo in mezzo.

PROPOSTE PER LA SCUOLA DEL DOMANI
(S1 E1 – P 1-4)

[Proposta 1: Abolire l’alternanza Scuola Lavoro]

Non voglio essere frainteso. Sono profondamente convinto che l’alternanza scuola lavoro abbia sinora svolto la sua missione in maniera egregia: ha insegnato ai nostri ragazzi le gioie e i dolori del lavoro intermittente e non retribuito nell’unico modo possibile: con la pratica crudele e quotidiana.
TUTTAVIA sono anche intimamente persuaso che sia inutile fingere di non vedere quello che le statistiche ci raccontano in maniera sempre più impietosa: non c’è più alcun mercato del lavoro per i nostri ragazzi, se non per una percentuale minima di essi. Stage e tirocini sono sempre più rari e sempre più ambiti. I lavori precari sono già tutti precettati per via ereditaria. I posti a tempo indeterminato banalmente non esistono più.
In uno scenario simile mantenere l’illusione che ci sia un mondo del lavoro con il quale alternarsi è una opzione priva di senso.
Ragion per cui l’alternanza va abolita a favore delle proposte 2 e 3.

[Proposta 2: Istituzione dell’Alternanza Scuola Scuola]

Agli scolari va insegnato un concetto molto semplice: dopo la scuola c’è sempre la scuola. Punto. Perché per partecipare alla grande lotteria del posto semifisso, la scolarizzazione non basta più, servono percentuali crescenti di iperscolarizzazione. Occorrono Master, Scuole di specializzazione, Tirocini Formativi, titoli, titoli, titoli. Ad ogni titolo corrisponde un punteggio. Per ogni punteggio occorre spendere del vil denaro. Più ne spendi, più sarà possibile trovare metodi alternativi per raggiungere i medesimi titoli.
Bene.
Tutto questo può essere simulato all’interno del percorso didattico tramite un oculato utilizzo dei crediti scolastici; e uno spregiudicato proliferare di organizzazioni losche riconosciute da Stato e Regioni (per le quali quei crediti rappresentano fonte di lauti guadagni).
Per i primi sarà sufficiente attivare i dirigenti scolastici.
Per i secondi sarà sufficiente lasciare che il mercato si regolamenti da solo. Ha già dimostrato ampiamente le sue capacità di penetrazione.

[Proposta 3: Istituzione dell’Alternanza Scuola Disoccupazione]

Agli scolari va insegnato un concetto molto semplice: dopo la scuola c’è sempre la scuola. Punto. Perché per partecipare alla grande lotteria del posto semifisso, la scolarizzazione non basta più, servono percentuali crescenti di iperscolarizzazione. Occorrono Master, Scuole di specializzazione, Tirocini Formativi, titoli, titoli, titoli. Ad ogni titolo corrisponde un punteggio. Per ogni punteggio occorre spendere del vil denaro. Più ne spendi, più sarà possibile trovare metodi alternativi per raggiungere i medesimi titoli.
Bene.
Tutto questo può essere simulato all’interno del percorso didattico tramite un oculato utilizzo dei crediti scolastici; e uno spregiudicato proliferare di organizzazioni losche riconosciute da Stato e Regioni (per le quali quei crediti rappresentano fonte di lauti guadagni).
Per i primi sarà sufficiente attivare i dirigenti scolastici.
Per i secondi sarà sufficiente lasciare che il mercato si regolamenti da solo, ha già dimostrato ampiamente le sue capacità di penetrazione.

[Proposta 4: Differenziare i Percorsi di Disoccupazione]

Un disoccupato umanista è differente da un disoccupato in uscita da un professionale, che a sua volta è differente da un disoccupato in ambito sociale e così via. Bisognerà, quindi, differenziare i percorsi di disoccupazione in base all’indirizzo di studio.
Per ognuno di siffatti percorsi, in accordo con gli indicatori europei, andranno definite unita didattiche ad hoc, attività differenziate, percorsi di valutazione specifici.
Non è un lavoro semplice. Andranno contattate le associazioni di categoria. Servirà un coordinamento. Nulla potrà essere affidato al caso.
È necessario istituire fin da ora una task force che aggredisca la questione.
Il governo Conte dovrebbe muoversi sin da subito in tal senso.
Il destino dei nostri figli non è roba su cui scherzare.

(continua)

30 giugno

È da un po’ che ci osservo. Noi padri parliamo sempre delle stesse cose. Su molti argomenti siamo pressoché interscambiabili.
Farsi un’idea di noi sulla base di quello che diciamo è semplicemente tempo sprecato.

Come fare allora a classificarci?
Ieri ho capito una cosa: se vuoi conoscere che tipo di padri siamo, ci devi guardare i pantaloni. Tutto il resto è fuorviante.

Da allora, è tutto più chiaro.

Ecco una prima lista sommaria.

PADRI

Jeans strappati sulle ginocchia: offre sorsi di birra al figlio di sei anni, ridendo e attirando l’attenzione di tutti i commensali. Se il bambino piange, gli ricorda quanto lo sta deludendo sorseggiando un mojito;

Pantaloni o pantaloncini mimetici: possiede delle armi. Tante armi. Le tiene in casa. Nel fine settimana, porta i suoi bambini in campagna, mette loro una pistola in mano, li filma mentre sparano a silhouette di migranti;

Pantaloni di lino bianchi, larghi, vaporosi: nella sua testa ha centinaia e centinaia di bambini celesti. Accompagnano ogni suo pensiero. Li sente cantare sopratutto la notte quando si fa chiamare Re Sanguinario;

Pantaloni di cotone con risvoltino: ha chiamato suo figlio con lo stesso nome del nonno. E ne va fiero;

Pantaloni qualsiasi, ma bretelle: stampa ogni mail che riceve. Risponde unicamente tramite fax;

Pantaloni da trekking: è genuinamente convinto che l’aria fresca, a contatto col sole, può curare qualunque malattia. 9 volte su 10 muore prima dei 45 anni, stroncato da un infarto;

Pantaloni immacolati, ossessivamente accarezzati: in seguito al divorzio, vive dentro un’automobile poggiata su dei mattoni. La notte, dopo aver chiamato i figli e aver raccontato loro che papà finalmente ha trovato un lavoro, collega il ferro da stiro all’accendisigarette e stira qualunque cosa gli capiti sotto tiro;

Pantaloni di pelle: non scopa da vent’anni. Sfoga tutta la sua frustrazione su un Harley Davidson comprata a rate che usa per accompagnare i bambini a scuola. Occasionalmente ha dei brevi amplessi con il suo serbatoio,

Pantaloni pieni di tasche e taschine: ha la passione del bricolage.
In passato, ha provato più volte a improvvisarsi dentista con moglie e figli. Gli assistenti sociali gli danno il tormento;

Pantaloni beige: cronometra gli amplessi dei vicini. Riporta tutti i tempi su un Excel. Grafica gli andamenti, valuta i trend;

Pantaloncini sportivi anche quando la situazione richiederebbe altro: auto-esplicativa;

Pantaloni rossi: suona uno strumento musicale. Solitamente Jazz. Sua moglie lo tradisce con chiunque suoni con lui. Spesso durante i suoi assoli;

Pantaloni di seta pregiata, preferibilmente blu: il nome del suo primogenito è incredibilmente complesso, termina con un numero romano, solitamente “II”;

Pantalone morbido, mocassino, maglione sulle spalle: non riesce a guardare lo yogurt senza pensare allo sperma. Non ricorda il nome dei suoi interlocutori. Chiama tutti Massimo;

Tutina da ciclista: in garage ha un mobile pieno di cassettini protetti da minuscole chiavi. Dentro ognuno di quei cassettini c’è un mignolo tranciato e un’etichetta. Sono tutti mignoli della mano sinistra;

Pantaloni comprati dalla moglie: padre amorevole, marito esemplare, finirà la sua vita sul tetto di un grattacielo, travestito da cantante di flamenco, circondato da elicotteri della polizia e ostaggi urlanti.