La buona strada

Siamo in fila al gate. Vale mi indica una fila di persone oltre la vetrata. Hanno tutti un involucro in mano, oggetti longilinei, lunghi qualche metro.

«La nostra squadra di salto con l’asta».
«Abbiamo una squadra di salto con l’asta?»
«Certo, la nostra nazionale. Sono tutti campioni. Staranno partendo per le olimpiadi».

Non ho nemmeno il tempo di chiedere: «Quali olimpiadi?» che il primo degli atleti prende la rincorsa, punta l’asta, spicca un salto ed entra direttamente in aereo.
Rimango con la bocca aperta. Anche gli altri atleti seguono il suo esempio: prendono una breve rincorsa, puntano l’asta e voilà, entrano in aereo.
Vale mi dice: «Bello, vero?».
Ora l’aereo è scomparso. È rimasta soltanto la mia bocca spalancata. Gli atleti saltano dentro di essa. Sono buonissimi. Sanno di affogato all’amarena.
Mi ritrovo immerso fino al collo dentro una vasca colma di panna montata. Vale non è più con me. Al suo posto c’è Marisa Laurito. Mi sorride. «È dura eh?»

Mi sveglio di soprassalto. Riesco a pensare soltanto: “Fanculo, era soltanto un incubo”. Sono tutto sudato. Provo a stiracchiarmi. Lo faccio piano per non svegliare Vale.
Controllo l’ora, sono le tre. Ho fame. Ho fame e sono a dieta. Ho fame, sono a dieta e sono le tre di notte: dormono tutti.
Striscio via dal letto, mi acquatto contro il muro, esco dalla stanza da letto, percorro il corridoio in punta di piedi. Ad un certo punto sento un respiro mozzato, mi blocco di colpo. Si tratta di Nicolò. Il suo raffreddore. Rincuorato, torno a saltellare in direzione della cucina.
Rischiaro tutto con un accendino. Al primo scatto, compare il frigorifero. Al secondo scatto una figura seduta al tavolo. È Vale.
«Ti stavo aspettando».
Allunga una mano, accende la luce. La scena diventa improvvisamente chiara. Davanti a lei ha due confezioni di Barottolino Samontana vuote, una viennetta dissossata. Per terra è pieno di involucri azzurri accartocciati. I cornetti.
«Ho finito tutto io, non c’è più nulla».
Disperato, spalanco il frigo: Grano saraceno. Quinoa. Farro. Riso a perdita d’occhio.

Mi sveglio urlando. Vale mi accarezza: «Tutto a posto, amore?»
Deglutisco. «Sì, amore», la abbraccio, «era soltanto un incubo».
«Dove vai?»
«Vado un attimo in bagno».
«Non è che ne approfitti per passare in cucina?»
«No, no. Tranquilla. Stavolta faccio sul serio».
«Beh, tanto ho dato tutti i gelati a mia madre, non aveva senso tenerli qui».
Urlo ancora una volta, ma dalle labbra non esce alcun suono.
La stanza attorno a me trema. È di nuovo Marisa Laurito. Spalanca le fauci. Posa il suo occhio tremendo su di me. Mi inghiotte. «Iamm’e Jà».

Quando riapro gli occhi sono di nuovo a letto. Stavolta è tutto più normale. Sembra la realtà. Sembra finalmente la realtà. Cerco di ricordarmi quanti gradi dobbiamo superare prima di svegliarci definitivamente. Sei? Sette? Com’è che funzionava Inception?
C’è qualcuno che mi guarda. Percepisco lo sguardo. Mi volto. È Egle. Si è messa in piedia sulla culla. Mi guarda divertita. Urla «Papà? Cacca!» e Vale, dall’altro lato del letto, mi ricorda che è il mio turno di cambiarla.

È il mio ottavo giorno di dieta. Penso di essere sulla buona strada.

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